Leggere vuol dire viaggiare. Viaggiare nel tempo, nello spazio. Vagare per mondi e universi alternativi, mondi letterari immaginati dagli autori.
Leggere vuol dire viaggiare anche nel pensiero umano e capire come e perché si siano formate certe credenze, certe culture, certe tradizioni, perché il cosiddetto immaginario collettivo sia popolato da determinati archetipi e, perché no, da diffuse convinzioni ancestrali. Ci sono letture che ti permettono anche di cogliere evoluzioni, di capirle e condividerle nel senso più personale del termine, vale a dire condividerle non tanto con altre persone ma con il proprio modo di pensare, di essere.
Insomma: alcune volte ti capita di leggere libri che ti aprono la mente e ti allargano gli orizzonti.

Quali letture?

Adesso verrebbe spontaneo chiedersi: ok, va bene, ma di quali letture stiamo parlando, esattamente? Quali titoli?Credo che certi libri debbano arrivare nel momento giusto della vita.
Alcuni titoli, ad esempio, non li avrei mai e poi mai letti anche solo dieci anni fa.
Figurarsi quand’ero ventenne.
Questi momenti, momenti in cui hai un bisogno quasi estremo di “capire”, per alcuni arrivano prima, per altri arrivano dopo. Per altri ancora, non arriveranno mai.

Prendiamo la Bibbia, ad esempio.
No, no: non le favolette pre-confezionate che conoscono tutti, quel 3% trito e ritrito.
Non la Bibbia raccontata da altri, che sia l’insegnante di religione, il prete, il catechista o qualcun altro ancora.
La Bibbia letta in prima persona, letta in “modalità” romanzo, senza ascoltare tutte le scuse che ti dicono per tenerti ben lontano dal leggerla bene, scuse del tipo “la Bibbia è un libro da interpretare”, “la Bibbia è un libro allegorico”, “La Bibbia non è un libro storico” e via dicendo.
La Bibbia è tradotta anche in italiano, un italiano chiarissimo, non criptico.
Certe storie sono davvero incredibili.
Alcuni passaggi sono cronache di guerra così cruenta che nemmeno oggi si arriverebbe a tanto.

Ma lasciamo stare la Bibbia: dopotutto, devo essere sincero, non l’avrei mai letta così ampiamente se non fosse stato per il fatto che ho dovuto documentarmi in merito al romanzo che sto scrivendo. Anche se è da quanto mi sono imbattuto in questa storiaccia di Emme che certi pensieri mi stuzzicano.

Filo conduttore

Potrei elencare altre letture, al limite del complottismo. Tuttavia un filo conduttore ha cominciato ad emergere pian piano. Più un dubbio, che un filo conduttore: mi chiedo infatti se la storia più credibile e accreditata sia quella più raccontata o quella più logica. E non sto parlando di romanzi, di finzioni narrative dove possiamo rifugiarci agevolmente sotto la comoda coperta della sospensione dell’incredulità.

In altre parole: ho avuto spesso la sensazione che una storia più viene raccontata e più diventa credibile. E più passa il tempo, più la tal storia si deposita lentamente nella tradizione, nella memoria collettiva, più questa “diventa” la verità, diventa ciò che realmente è accaduto. Ciò che “è sempre stato raccontato”. Ciò che “è così da sempre”.
Non importa se in realtà le cose in origine siano andate diversamente. Non importa se la realtà sia stata (sia) differente. A volte una storia affonda le proprie radici in tempi così lontani che non è oggettivamente possibile stabilire come siano andate realmente le cose. Ma in certi casi, la storia “raccontata” a volte sfida anche la logica e il buonsenso. Voglio dire: certe storie sono così assurde che non sarebbero nemmeno logiche. Calpestano la logica, insomma. La logica e il buonsenso, prima ancora della realtà. Ma sopravvivono. E quindi continuo a chiedermi se la storia più vera sia quella più “raccontata” o quella più “logica”.

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