Gli erboristi di Siena

Alberi, prodigi e maledizioni. Sono solo alcuni degli elementi al centro delle vicende dimenticate di un gruppo di erboristi senza scrupoli. La loro storia, vecchia di secoli, riemerge con forza dal passato quando Enrico, restaurando un piccolo baule di legno, ritrova alcune lettere mai spedite scritte nel giugno del 1944, nel pieno della seconda guerra mondiale. A scriverle è Amedeo, un botanico senese giunto nelle campagne milanesi alla ricerca di qualcosa di unico e prezioso, sottratto secoli prima agli stessi erboristi. Sono lettere disperate, testimoni di un fallimento e di un destino che s’infrange tragicamente contro gli imprevisti della guerra. Enrico, nonostante siano trascorsi oltre settant’anni, decide di recarsi a Siena per consegnarle agli eredi di Amedeo. Accompagnato dalla moglie Giovanna e dall’amico Maurizio, farà un incontro davvero inaspettato e scoprirà che, quanto rinvenuto, non è che una piccola traccia di una storia avvincente, le cui origini risalgono al lontano 1380, epoca del massimo splendore di Siena. È proprio in quegli anni che alcuni erboristi si stabiliscono in un monastero, poco fuori le mura della città, per studiare segretamente una singolare raccolta di pergamene. Alla loro guida Guadalfredo, un erborista dal passato oscuro, deciso a carpire ogni più piccolo segreto descritto nelle pergamene stesse: orti circolari, alberi ben disposti e frutti sconosciuti, necessari per ottenere preparazioni e pozioni prodigiose. Ma anche maledette.

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Le nostre ricerche si sono rivelate esatte. Mi trovo a Carugate, un piccolo paesello alle porte di Milano. Le tracce che ho seguito finora mi hanno portato qui e, se le nostre ipotesi sono corrette, dovrei essere arrivato in tempo per il germoglio. Forse con largo anticipo. Solo è molto difficile stare in questo posto con la guerra. La popolazione è stremata e tutti mi guardano con estrema diffidenza. Si temono rappresaglie dai tedeschi e uno straniero come me è guardato decisamente storto, tanto che ho dovuto nascondermi in una stalla abbandonata.

Salirono i due scalini in pietra e un giardiniere che stava annaffiando alcuni fiori nei pressi dell’ingresso, si rivolse subito a loro.

«Buongiorno, signori. Posso esservi d’aiuto?»

«Buongiorno» disse Giovanna con cortesia. «Stiamo cercando Viviana, abbiamo delle lettere per lei.»

«Ah, Viviana» il giardiniere li guardò gioviale. «Ma quale Viviana? Madre, figlia o signora?»

Un altro foglio ancora, forse il più enigmatico, recava lo schizzo di una stella circondata da un cerchio. Un pentacolo. Simbolo magico, o quantomeno dal significato controverso. Maurizio, che in alcune attività di ricerca storica aveva avuto occasione di approfondire vari temi di simbologia, ne sapeva abbastanza per non farsi travolgere da luoghi comuni piuttosto diffusi. O forse vi era un nesso con la maledizione?

«Non posso crederci.»

«Ora tutto è chiaro, chiarissimo. Mia nonna ha sempre agito con saggezza. Quando ha scoperto di Filiberto è rimasta inorridita. Ci è mancato davvero poco che non diventassero contemporanei. Bartolomeo e Amedeo volevano recuperare il tartufo viola per riuscire a ricavare altre perle. Viviana ha tentato in tutti i modi di dissuadere suo fratello. Ha raccontato del doppio gioco di Bartolomeo, dei suoi reali scopi…»