Leggevo giorni fa l’ultimo post del Vecchio Viaggiatore di panchine, un autentico spaccato di vita che non ho fatto fatica a comprendere. Si farebbe presto a puntare il dito sui giovani di oggi, anche se, devo dire, spesso i giovani di oggi sono un riflesso dei genitori di oggi.
Capita a tutti di imbattersi in ragazzi svogliati, viziati, smidollati. Non che voglia spezzare una lancia in loro favore, ma spesso sono gli stessi genitori di tali ragazzi a essere svogliati, viziati e smidollati. E, come si usa dire, la mela non cade lontano dall’albero…
Tuttavia il post mi ha fatto venire in mente la condizione in cui si trovano molti giovani in questi tempi: un livello culturale medio davvero molto basso, una rassegnazione quasi tangibile al tutto dovuto, sempre e subito, senza fatica alcuna.

L’altra sera me ne stavo svaccato sul divano a subire una di quelle trasmissioni di musica estiva, dove si esibivano i sedicenti cantanti.
Che dire? Un fatto che mi ha colpito è la povertà lessicale delle canzoni di oggi e l’essenzialità estrema della musica: quattro parole e qualche nota. Ritornelli ripetuti quasi allo sfinimento con un ritmo da cerebroleso. Ecco fatta una “canzone” dei sedicenti cantanti. Che salgono sul palco e si esibiscono in balletti di dubbio gusto. Per non parlare della gestualità vuota e senza senso. Animali da palcoscenico che saltano senza stile.

Non saprei dire se sono i sedicenti cantanti a essere un’espressione culturale del giovane di oggi o se è il contrario.
Di certo quello che si crea è un circolo vizioso: cantanti mentalmente poveri ascoltati da ragazzi mentalmente inerti o quasi.

Leggevo casualmente che nei giorni scorsi, uno di questi sedicenti cantanti che si stava esibendo con una sua filastrocca ritmata, pardon, canzone, a un certo punto ha interrotto la sua esibizione perché il pubblico non ballava e si faceva i fatti suoi senza filarselo di striscio. Ma tu guarda: chissà perché non ballava sulle note di una canzone così “coinvolgente”…

Cos’hanno in comune la gestualità, i balletti e le canzoni ridotte all’osso?
La povertà lessicale, direi. La povertà creativa. Ma forse farei meglio a dire la povertà mentale.

I miei saranno anche ragionamenti da vecchio, ma se questi sono i giovani di oggi, sono contento di essere stato giovane trent’anni fa, quando i cantanti cantavano canzoni che erano storie, quando i cantanti erano (sono) artisti del calibro di Vasco Rossi, Ligabue, Battisti, Pausini, Ramazzotti, Jovanotti, Zucchero.
Gente che pubblicava album interi, non singoli per l’estate. Gente che riempiva stadi e che li riempie ancora oggi. Artisti con la A maiuscola.
Cantanti che, al di là dei gusti personali, certo non avevano la povertà mentale e creativa che vedo oggi.

Ma forse lo smidollato tratteggiato dal Vecchio viaggiatore di panchine non potrebbe capire canzoni troppo impegnative come quelle di una volta. Troppa fatica.

Se passiamo dalla musica alla lettura, il quadro non cambia. Anzi: peggiora.
La musica infatti è facilmente più fruibile: oramai ce l’abbiamo tutti sul telefonino. Un paio di cuffie e via.
La lettura no: richiede impegno, curiosità, voglia di capire, di scoprire. Richiede fatica.

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